Patrouille des Glaciers

Ormai risale a più di un anno fa da quando Marco è stato contattato da Gary.

Gary è un signore inglese che durante i mesi invernali scia spesso con Will, un maestro anche lui di madrelingua inglese che vive a Verbier. Will ha ospitato Marco l’anno scorso, quando stava lavorando in Svizzera per la formazione dei futuri maestri di sci per il modulo di freeride e freestyle. Gary ha una figlia laureata in medicina che lavora nei reparti di terapia intensiva. Penso sia del tutto superfluo sottolineare come questi ultimi due anni di Covid siano stati particolarmente duri per chi lavori negli ospedali.

E da qui l’idea di creare una raccolta fondi, per pagare del sostegno psicologico, per tutto il personale che operi nell’ambiente ospedaliero, e che ne abbia bisogno.

Ma come raccoglierli questi fondi? Mettendosi in gioco. Creando una challenge. Gary sente Will il quale contatta Marco a lavorare come guida. 

Ed è così che il cerchio del preambolo inizia a chiudersi e Gary mette insieme una squadra di cinque persone, tra cui tre medici, un avvocato ed un ricercatore nel settore dell’energia rinnovabile che partiranno da Zermatt ripercorrendo la traccia dell’originale Patrouille des Glaciers, la più alta delle famose Haute Routes.

Quattro giorni di sci alpinismo nel cuore dei ghiacciai svizzeri, passando sotto l’ombra del Cervino, del Dent D’Herens, arrivando in cima alla Tete Blanche per poi scendere fino all’affascinante e minuscolo paesino di Arolla, contornato da morene dalle dimensioni gigantesche. Da qui il percorso riparte fino alla Cabane de Dix, appoggiata su un promontorio con una vista a dir poco privilegiata sul Mont Blanch de Chelion, dove passeremo l’ultima notte prima di ritornare al nostro punto di partenza, Verbier. 

Da quando Marco mi ha accennato il programma ne sono subito rimasta affascinata. Mano a mano che i preparativi e le numerose telefonate con Gary proseguivano un’idea incominciava a prendere forma nella mia mente: “perché non proporre a Gary una fotografa nel team”? Al di la dell’esperienza magnifica direi che la causa è più che buona e che questa impresa va documentata al meglio. Si, impresa, perché per chi è avvezzo allo sci alpinismo 4500m di dislivello positivo e 50km di spostamento in quattro giorni non sono poi così tanti, ma per altri invece questa è una vera a propria challenge. La Patrouille si snoda su un percorso tanto logico quanto delicato, a tratti tecnico. Si è per la maggior parte del tempo su terreno di ghiacciaio e si sa, anche quando non si hanno dei crepacci nelle vicinanze, è bene tenere il livello di attenzione piuttosto alto. La fatica non è dunque solo fisica bensì anche mentale. Ma è proprio questa sensazione che il team cercava, un qualcosa che potesse metterli sotto pressione, che non gli desse la possibilità di pensare ai mesi passati, alle corsie dell’ospedale e alle infinte ore di turni che hanno dovuto affrontare.

Ci troviamo a Verbier la domenica sera, il lunedì scieremo tutti insieme e si farà un check materiali. Lo zaino deve essere minimal ma allo stesso tempo deve poter contenere tutto il necessario per quattro giorni, oltre al kit di sicurezza. 

Ci troviamo seduti al tavolo con Gary, Sarah S. e Sarah C., Mike, Nick, Dave, Will, e noi due. A parte Will e Gary, e Marco e Will nessuno si conosce. Un po’ il bello di queste avventure, quello che aggiunge quella piccola nota di piacevole incognito e sorpresa nello scoprire con chi condivideremo questi giorni. Per esperienza personale posso dire che più l’avventura o il viaggio sono intensi, più ci si lega e più si crea condivisione, indipendentemente dal grado di amicizia già presente.

Martedì mattina prendiamo un taxi ed il trenino che ci porta a Zermatt. Pazzesco come sembra che nulla qui si sia fermato. Gente sorridente, non solo nello sguardo, in giro per il paese e nei negozi. Cerco di esprimere meglio quello che ho detto tra le righe: qui le mascherine sono finite. Una botta di sana quotidianità che in italia sembra essere ancora un miraggio. 

La prima tappa ci porta alla Schönbielhutte. Nessun metro di discesa oggi. La terrazza del rifugio è un cinema in prima fila per le pareti nord ovest del Cervino e del Dent D’Herens. La zuppa calda sarà una della più buone mai mangiate, un po’ come la meringa dal sapore di casa della pasticceria di via Oriola a Trento.

Il genepì ci manda a letto con quel tepore in corpo che ci servirà per addormentarci.

La sveglia suona presto ma la vera sveglia sarà la discesa sul pendio gelato nell’interno della ripida morena. Vietato cadere. Ci ritroviamo così nel fondo valle, a risalire lo Stockjigletscher, fino alla Tete Blanche. Qualche brivido corre lungo la schiena di Marco alla visita di un seracco che probabilmente è caduto il giorno prima, creando una gigantesca valanga di ghiaccio proprio dove dovremmo passare noi. Il sole è potente e all’alzare lo sguardo i pensieri che si formano nella mia mente non sono d’aiuto.

Passiamo questa “ice fall”, come l’abbiamo soprannominata, e procediamo verso la nostra prima cima di oggi. Dave fa fatica, inversioni, altitudine e zaino pesante non aiutano. Marco si carica parte del suo peso e lo accompagna facendogli il ritmo, passo dopo passo, fino alla cima. 

Foto di rito e via verso il Col de Bertol, dove inizieremo una lunga discesa di quasi 2000m fino ad Arolla. Il versante ovest nella parte superiore è in firn e ci godiamo qualche curva divertente prima di arrivare alla morena che ci accompagnerà fino al paese. Incredibile rendersi conto di quanti metri di ghiaccio abbiamo perso in questi anni.

Ad Arolla dormiamo in un hotel. Direi che una doccia ed una stanza silenziosa, seppur meno affascinante, non sono disdegnate da nessuno.

La terza tappa è la più breve: dobbiamo arrivare alla Cabane de Dix. Altra giornata di solo salita, che affrontiamo con tutta calma. La giornata precedente per alcuni è stata piuttosto impegnativa, 1435m di dislivello, 2400 di discesa e più di 21km di spostamento. Le gambe si fanno sentire.

A differenza che alla Schönbielhütte, dove si può dire che fossimo in quattro gatti, qui invece siamo in “metà di mille”. È una tappa sia per chi parte da Verbier che per chi, come noi, segue il percorso originario da Zermatt. L’atmosfera all’intento della Cabane è più che allegra: c’è chi suona la chitarra e chi fa aperitivo come se fossimo ancora in centro a Verbier. Noi tutti cerchiamo di idratarci il più possibile (con acqua 😜), sapendo che la giornata successiva sarà un altro tappone.

La mattina costeggiamo il lago de Dix con la sua imponente diga, dirigendoci verso il passo di Rosablanche. Quando arriviamo qui sono già parecchie ore che siamo in giro e alla base del canale che ci porterà in cima c’è chi inizia a vedere qualche drago. L’ambiente è selvaggio e si fa sentire tutto. La neve è morbida ma proprio per questo ogni tanto nelle inversioni lo sci scivola e c’è chi si irrigidisce per questo. Decidiamo di proseguire sci nello zaino e ramponi ai piedi fino alla cima. Marco, Will ed io siamo entusiasti ma sappiamo che per il team questa non è una delle situazioni più facili da affrontare. Siamo ben lontani dai dolci pendii e panettoni che uno spererebbe di sciare, magari pure con quei 10cm di neve fresca che sarebbero la classica ciliegina sulla torta 😜

Il panorama che ci si apre in alto è pazzesco. La porzione di lago ghiacciato che si vede è fotograficamente ciò che rende ancora più affascinante la scena. In fondo le montagne di Verbier. Ancora due colli, e ci siamo!

Ripellando verso l’ultimo colle sotto il bec des Rosses, penso tra me e me a ciò che ha contribuito a rendere questa esperienza unica nel suo genere. Sarà aver visto nei volti dei ragazzi la determinazione di voler affrontare qualcosa in parte più grande di loro, per il quale non erano forse mentalmente preparati. Anch’io non mi sarei aspettata così tanto giacchio, così tante montagne a perdita d’occhio. 

Continuo a pensare tra me e me che sono felice di aver avuto la possibilità di essere affianco a Marco in questo viaggio, e di aver conosciuto delle persone davvero in gamba, con un grande cuore, che si è manifestato fin da subito nel loro modo elegante e allo stesso tempo affettuoso di spronarsi a vicenda. 

Si, viaggio, perché questa Haute Route è un viaggio a tutti gli effetti, che ti porta da A a B, sci ai piedi, zaino in spalla e occhi attenti ad osservare tutta la bellezza di questi spazi selvaggi che ci circondano.

Se qualcuno fosse interessato a leggere qualcosa di più sul progetto o sulle motivazioni personali che hanno spinto i sei partecipanti a fare questa challenge questi sono il link.

Per chi volesse supportare la loro causa le donazioni sono aperte fino a fine aprile.

https://www.ics.ac.uk/Society/Get_involved/Ski_Challenge_2022

https://www.justgiving.com/campaign/ztov2022

ENGLISH VERSION

It was over a year ago that Marco was contacted by Gary.

Gary is an English gentleman who frequently skis during the winter months with Will, an English-speaking ski instructor who also lives in Verbier. Will hosted Marco last year when he was working in Switzerland training future ski instructors for the freeride and freestyle module. Gary has a daughter who has a degree in medicine and works in intensive care units. I think it goes without saying that these last two years with Covid have been particularly rough and challenging for people working in hospitals.

Hence the idea of creating a fundraiser to pay for psychological and emotional support for all staff working in the healthcare environment and need it.

So how do you raise these funds? By getting involved. By creating a challenge. Gary talks to Will who then approaches Marco about working as a guide. 

At this point it all starts to take shape as Gary puts together a team of people, including three doctors, a lawyer and a researcher in the field of renewable energy that will leave Zermatt retracing the track of the original Patrouille des glacier, the highest of the famous Haute Routes.

Four days of ski mountaineering in the heart of the Swiss glaciers, under the shadow of the Matterhorn, the Dent D’Herens, reaching the top of the Tete Blanche and then descending to the charming and tiny village of Arolla, surrounded by gargantuan moraines. The route then continues to the Cabane de Dix, perched on a headland with a rather spectacular view of Mont Blanch de Chelion, where we will spend the last night before returning to our starting point, Verbier. 

From the moment Marco mentioned the program to me, I was instantly fascinated. As the preparations and several phone calls with Gary continued, an idea began to slowly unfold in my mind: “why not suggest to Gary that we add a photographer to the team?”. Apart from the magnificent experience, I would say that the cause is more than worth it and that this venture should be documented in the best possible way. Yes, venture, because for those accustomed to ski touring, 4500m of elevation gain and 50km of distance in four days are not that demanding, but for others, this is a real challenge. The Patrouille winds its way along a route that is as logical as it is tricky, and at times technical. Most of the time you are on glacial terrain and, as you know, even when you don’t have any crevasses nearby, it’s a good idea to stay on your toes. The fatigue is therefore not only physical but also mental. But it was precisely this feeling that this team was looking for, something that would put them under pressure, that would not give them the time to think about the past months, the hospital wards and the endless hours of shifts that they had to face during the pandemic.

We meet up in Verbier on Sunday evening, on Monday we all will ski together and do a gear check. The backpack has to be minimal but at the same time, it has to be able to hold everything we need for four days, plus the safety kit. 

We find ourselves sitting at the table with Gary, Sarah S. and Sarah C., Mike, Nick, Dave, Will, and the two of us. Other than Will Gary and Marco no one really knew each other. That’s kind of the beauty of these adventures, it adds that little note of a pleasant unknown surprise in discovering who we are going to share the next few days with. From personal experience, I can say that the more intense the adventure or trip, the more we bond and the more we share, regardless of the degree of existing friendship.

Tuesday morning we take a cab and the little train that takes us to Zermatt. It’s crazy how it seems that nothing here has stopped. People smiling, with lots more than just their eyes, around the village and in the stores. Let me try to express in more detail what I meant between the lines: no more masks here. A shot of healthy everyday life which in Italy still seems to be a mirage. 

The first stage takes us to the Schönbielhutte. No downhill meters today. The terrace of the refuge is a cinema in the front row for the northwest faces of the Matterhorn and Dent D’Herens. The warm soup will be one of the best we’ve ever had, just like the meringue from the pastry shop in Via Oriola in Trento, that tastes like home.

The Genepi liqueur sends us straight to bed with that warmth in our bodies that we will need to fall asleep.

The alarm clock sounds early but the real wake up call will be the descent on the frozen slope in the interior of the steep moraine. No falling. So we find ourselves at the bottom of the valley, climbing up the Stockjigletscher, up to the Tete Blanche. A few shivers run down Marco’s spine when he sees a serac that probably fell the day before, creating a gigantic avalanche of ice right where we should pass. The sun is powerful and when I look up the thoughts that form in my mind are not very helpful.

We pass this “ice fall” as we nicknamed it, and proceed to our first summit of the day. Dave struggles, kick turns, altitude and the heavy backpack don’t help. Marco took on some of his weight and accompanied him, keeping the pace, step by step, to the top. 

The summit pictures was taken and we headed towards the Bertol pass, where we began a long descent of almost 2000m to Arolla. The upper part of the west facing slope is in firn, and we enjoy a few fun turns before reaching the moraine that will lead us to the village. It’s incredible to realize how many meters of ice we have lost over the years.

In Arolla we slept in a hotel. A shower and a quiet room, although less charming, are not something that anyone would disdain.

The third stage is the shortest: we have to get to the Cabane de Dix. Another day of just climbing, which we tackle calmly. The previous day was quite demanding for some, with 1435m of height difference, 2400m of descent and more than 21km of travelling. Our legs began to make themselves known to us.

Unlike at the Schönbielhütte, where there were four of us, here we were “half of a thousand”. This is a stop for both those who start in Verbier and those who, like us, follow the original route from Zermatt. The atmosphere at the Cabane is more than cheerful: some people play the guitar and others have an aperitif as if we were still in the center of Verbier. We try to hydrate as much as possible (with water 😉 ), knowing that the next day will be another big day.

In the morning we skirted the Lac de Dix with its imposing dam, heading towards the Rosablanche pass. By the time we get here, we’ve been walking around for several hours now, and at the base of the couloir that will take us to the top, some people are starting “to see some dragons”. The environment is wild and it all makes an impact. The snow is soft but because of this, every now and then in the kick turns the skis slip and some people get stiff because of this. We decided to continue on skis in the backpack and crampons on our feet up to the top. Marco, Will and I are enthusiastic but we know that for the team this is not one of the easiest situations to deal with. We are far from the gentle slopes that one would hope to ski, maybe even with those 10 cm of fresh snow that would probably be the icing on the cake 😉

The panorama that opens up to us at the top is crazy. The portion of the frozen lake that you can see is photographically what makes the scene even more breathtaking. We see the Verbier mountains in the background. Two more passes and we’re there!

As we headed back towards the last pass under the Bec des Rosses, I thought to myself about what it was that made this experience so unique. It was having seen in the boys’ faces the determination to face something in part bigger than themselves, for which they were perhaps not mentally prepared. I too would not have expected so many glaciers, so many mountains as far as the eye could see. 

I keep thinking to myself that I’m happy to have had the opportunity to be with Marco on this journey, and to have met some really great people, with enormous hearts, which showed immediately in the elegance and affection with which they encouraged each other. 

Yes, journey, because this Haute Route is a journey in every sense of the word, taking you from point A to B, with skis on your feet, a backpack on your shoulders, and eyes focused on observing all the beauty of these wild surroundings.

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