Val Masino – Spigolo Vinci e Gervasutti

Cinque giorni liberi ed eccoci che ci ritroviamo a riempire il nostro Caddy con tutta l’attrezzatura ed il cibo necessario. È la settimana che precede ferragosto.

Partiamo in direzione Val Masino. Per chi non la conoscesse è una vallata che si trova in provincia di Sondrio, alle spalle del famoso Piz Badile e del suo vicino Pizzo Cengalo. Forse vi suonerà il nome Val di Mello. 

Montagne di granito dalle guglie inquietanti ci circondano non appena arriviamo a Bagni di Masino, dove lasceremo la macchina per la prima avventura.

Il paesaggio non centra nulla con quello al quale siamo abituati. La roccia è grigia e compatta e le cime sembrano essere dei cappelli da strega che si ergono verso il cielo, facendo a gare a chi è il più imponente. La nostra prima meta è il rifugio Gianetti. Siamo già stati a dormire lì da Mimmo a settembre dell’anno scorso, scendendo dal Piz Badile. La sua pasta al pomodoro dopo la Cassin al Badile era stata una delle più buone di sempre. 

Il programma di Marco prevede di salire lo Spigolo Vinci al Pizzo Cengalo e successivamente lo spigolo Gervasutti alla Punta Allievi. Il nostro piano parte però già in salita. Non è ferragosto solo in Dolomiti bensì anche qui. Morale, il rifugio Allievi è pieno e non ha posto per ospitarci venerdì sera ma solo giovedì. Cerchiamo velocemente online e vediamo che c’è un sentiero, il sentiero Roma, che in “comode” 5 ore potrebbe portarci dal rifugio Gianetti all’Allievi così da consentirci di fare lo spigolo Gervasutti il giorno successivo. Ci sembra una buona idea, e decidiamo dunque di organizzarci in questo modo.

Salendo al Gianetti, nella piana che precede l’ultimo strappo di salita verso il rifugio, scorgiamo il nostro spigolo tra luci e ombre e soprattutto tra sole e nuvole. É tanto bello quanto affilato. O almeno così mi sembra. Le creste non sono il mio terreno preferito ma piano piano sono convinta che inizieranno a piacermi. 1400m di salita dopo arriviamo al Gianetti.

Il rifugio è pieno. Chiacchieriamo con i nostri vicini di tavolo e nel frattempo pianifichiamo l’indomani, consapevoli di non dover partire troppo presto, di avere un avvicinamento relativamente breve ed una via che, sulla carta, sia per grado che per lunghezza, dovrebbe essere plaisir. Ma come spesso succede, la montagna, anche per le salite che si prospettano più facili, non ti regala niente. La mattina ci svegliamo avvolti da un fitto nebbione. 

Partiamo con calma verso l’attacco della via, nella speranza che, nel frattempo, queste nuvole, se ne vadano.

All’attacco siamo ancora nelle nebbie e immersi e in una bella umidità. Marco parte sul primo tiro mentre io già prevedo la bollita alle mani che mi aspetta dietro l’angolo. Prima di attaccare la via avevo già indossato tutti gli strati a disposizione (piumino compreso) e ho pure provato di nascosto ad infilarmi le scarpette con i calzini.. inutile dire che fossero troppo strette, ma si sa, nel dubbio è sempre bene provarci. 

In cima al primo tiro ho le mani congelate. Ah si, una giornata plaisir, come da programma. Diciamo però che le mani in un modo o nell’altro si sono un po’ scaldate e che il nebbione ha fatto si che il vuoto nei pezzi di cresta non si vedesse, né da una parte né dall’altra. Inoltre, questo tempo rende tutto un po’ più mistico e decisamente più piccante. 

La scalata è bella ed il quarto tiro, il tiro chiave, ci fa drizzare le antenne. I piedi sembrano inesistenti. O forse lo sono? Marco si destreggia agevolmente su quella fessura. La nebbia continua ad accompagnarci. Dietro di noi sentiamo delle voci e intravediamo partire una seconda cordata. Ci sentiamo meno soli. 

Nei pochi istanti in cui le nebbie se sono andate vedevamo davanti a noi, alla sinistra della cresta, quella che doveva essere la normale al badile. Dico “doveva essere” perché è sempre rimasta completamente avvolta dalle nebbie. Sembrava che queste non volessero passare verso il versante svizzero. Arrivavano in cima e poi si dissolvevano verso l’alto, lasciano la parete nord est al sole e la facciata sud ovest completamente nelle nuvole. Forse non piacevole, ma fotograficamente entusiasmante. 

A parte il freddo la scalata procede liscia e senza intoppi. In 4h e 50 siamo in cima e pronti a calarci. Selfie di vetta ed entrambi commentiamo come questa sia stata la volta dove quest’anno abbiamo patito più freddo. 

Scesi a terra e con lo stomaco pieno grazie al panino al formaggio che Mimmo ci ha preparato decidiamo di cambiare piano. Il giorno successivo il meteo da ancora nuvole e l’idea di affrontare una seconda via, decisamente più lunga (la Gervasutti conta 18 tiri), nuovamente al freddo e nelle nebbie, non ci attira affatto. Cancelliamo la nostra prenotazione al rifugio Allievi e torniamo verso bagni di Masino.

Decidiamo di prenderci il giorno successivo per ricaricare le energie e soprattutto rivedere i nostri programmi, perché l’idea di fare lo spigolo Gervasutti non l’abbiamo assolutamente archiviata.

Dormiamo nei pressi del Sasso Remenno, affianco al torrente Masino. Facciamo stretching, scarichiamo foto e video, facciamo un bagno fresco nel fiume (nuova passione di Marco), e pianifichiamo le giornate successive. 

Sabato danno bellissimo. Il rifugio però è pieno e l’avvicinamento è più lungo di quello al Gianetti. Inoltre, dopo l’avvicinamento vanno aggiunti i 18 tiri della via ed il rientro a valle dopo questa. 

La mia preoccupazione, e quella di Marco, è che io arrivi a metà spigolo completamente fusa. 

Le opzioni sono due: o cambiare programma o far tutto in giornata. Sapete già cosa abbiamo scelto.

È ormai venerdì pomeriggio inoltrato. Andiamo ad informarci per prendere un pass per parcheggiare all’ingresso della val di Mello e scopriamo che la macchinetta che rilascia i pass inizia a funzionare alle 5.30/6 del mattino. Ciò significa che bisogna partire a piedi da San Martino, allungando il già eterno sentiero di almeno 20/25 minuti. Abbiamo valutato che per poter fare tutto con relativa “calma” dobbiamo iniziare a camminare alle 3.30 del mattino.

Non sappiamo cosa aspettarci da questa via, Marco dice che non sa neanche se riusciremo a farla, che prima arriviamo al rifugio, e poi vediamo. Ma io in cuor mio so che, nel momento in cui mettiamo i piedi fuori dalla macchina, in qualche modo arriveremo in cima. 

Due panini a testa nello zaino e un litro di coca cola misto ad acqua è tutto già che abbiamo per i 1500 metri e 3 ore e 30 di camminata che ci separano dal rifugio e dalla seconda colazione. La giornata promette bene e sotto la luce della luna piena e delle nostre frontali, inizialmente con passo deciso e poi a momenti barcollante, arriviamo all’Allievi. Mentre ci gustiamo la torta scopriamo che c’è un’altra cordata sulla via, partiti qualche ora prima di noi, dal rifugio. Con Marco ci guardiamo e lui mi dice “dai che andiamo a prenderli”. E così camminiamo per un’altra ora scarsa fino all’attacco. Questa volta non ci sono nebbie ed il sole sta per iniziare ad illuminare la fine del primo tiro. 

Il primo tiro, V grado su placca, ci da subito una sveglia. La scalata è diversa da quella del Vinci, più appoggiata ma allo stesso tempo più tecnica. Ci gustiamo il panorama, finalmente visibile, ed il fatto di scalare solo con la felpa. Il primi tiri passano relativamente lenti. Erano i più tecnici o forse io ero ancora intontita dalla sveglia e soprattutto dai 1700m fatti prima di indossare le scarpette. Non appena le difficoltà si abbattono Marco supera la cordata e continua veloce tiro dopo tiro. La scalata è divertente, mai troppo difficile ma neanche scontata. Ci avevano detto essere una via che meritava ed avevano ragione. In cima al camino di IV grado c’è un primo pezzetto di cresta che precede un tiro più impegnativo. La mia scalata rallenta ed i primi segni di stanchezza mentale iniziano a farsi sentire. Siamo al dodicesimo tiro. A breve vedo davanti ai miei occhi il vero tratto di cresta. Marco già se la ride guardandomi in faccia. Ma sono decisa a tenere duro, a dire a me stessa che non sono stanca, che le creste in fondo (in fondo in fondo in fondo) potrebbero anche piacermi. Un profondo respiro, un po’ di concentrazione ed il tratto di cresta è già finito. Due tiri e siamo fuori.

Sette ore dopo aver attaccato la via siamo sulla punta Allievi. Il panorama è tanto duro quanto magnifico. Troviamo dei ghiacciai alle nostre spalle, due laghetti glaciali e nessuno in giro. Un vento freddo non appena sbuchiamo nel versante nord ci obbliga a mettere il guscio. 

Ci sembra incredibile ma nostro piano è andato a buon fine. 12 ore dopo aver iniziato a camminare, senza sapere se la nostra avventura sarebbe finita al rifugio, o se sarebbe cominciata per davvero. Ringrazio Marco per avermi portata fino in cima anche questa volta e per crederci sempre fino in fondo.

Una volta arrivati alla fine dei ghiaioni che costeggiano la via, osserviamo la sua linea sotto la luce calda del pomeriggio. Che viaggio! E che conquista!!

Ci fermiamo su un sasso a mangiare ciò che ci rimane e ad osservare varie famiglie di stambecchi a poche decine di metri da noi.

La mente si rilassa. Ormai ci manca poi “solo” il sentiero per tornare alla macchina. Siamo fuori da ogni difficoltà.

Passiamo al rifugio Allievi da Armando e Miriam a gustarci una più che meritata birra. 

Non appena ci rialziamo sentiamo le gambe vuote ma siamo colmi di soddisfazione. 

Arriviamo alla macchina alle 20.45, corricchiando verso valle con le ultime energie rimaste. Passiamo in mezzo alla mandria di cavalli selvatici che avevamo salutato prima dell’alba salendo. Ci leccano affettuosamente mani e braccia, cercando di prendersi tutto il sale che abbiamo addosso. Marco scherza con le marmotte che urlano al nostro passaggio. 

Dopo questo incontro abbiamo smesso di parlarci, puntando solo ad arrivare a valle il prima possibile, prima per un altro bagno rigenerante (e necessario 😉 ) nel fiume, e poi per andare a gustarci una più che guadagnata pizza e apprezzare l’avventura appena portata a termine. Ah, e anche questa pizza, un po’ come la pasta dopo il Badile, è buona come non mai.

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