Ceüse
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Quando ho iniziato a frequentare Marco lui doveva fare una tesina per il corso guide e mi aveva detto: andiamo a Ceüse, mi aiuti a fare un paio di foto, ti porto nella falesia più bella del mondo.
Questa frase mi è sempre rimasta impressa e, dopo averla vista, come dargli torto. Una scogliera che si erge solitaria a 2000m, lunga un paio di km, con roccia sempre magnifica ed un’estetica unica.
Sulle sue pareti troviamo alcuni tra i tiri più famosi al mondo. La sua roccia è stata toccata da nomi che hanno segnato il mondo dell’arrampicata. Per raggiungere la falesia c’è un sentiero di circa 4km e 550d+. Ci sono un paio di punti dove salendo si scorge la falesia. Non so quante volte Marco sia stato qui, tantissime considerando che è a poco più di 2h da Oulx. Ora abbiamo deciso di passarci le vacanze, e anche all’ottava volta di fila che percorro questo sentiero, una volta arrivati nei due spot mi è naturale alzare gli occhi verso queste pareti così attraenti, e fotografarle. Stesso posto, tutti i giorni.
Quest’anno a causa del mio incidente abbiamo deciso di fare meno vie lunghe, gli avvicinamenti su terreni sconnessi sono un rischio per la mia caviglia ancora debole. È stato un po’ come un flashback. Il primo viaggio fatto insieme era stato in Spagna, a Siurana. Ricordo ancora tutto perfettamente, il paesino, il caddy allestito da van, i bagni nel Panta per lavarsi, le giornate in falesia, che iniziavano lentamente per poi non sapere quando sarebbero finite. Era tutto un po’ nuovo all’epoca.
Ora, con tanta consapevolezza in più, quest’estate abbiamo deciso di dedicarci nuovamente alla falesia, forti del fatto che faccia benissimo anche al mio piede: avvicinamento, climbing, discesa, un esercizio di propiocettività continuo, senza troppo stress mentale.
6 anni dopo ricarichiamo il caddy, questa volta con l’upgrade di un signor materasso anziché due crash pad, si sa, invecchiando si cerca la comodità. Acquistiamo anche una tenda gigante. Il caddy è una bomba, ma se piove non abbiamo spazio per muoverci e cucinare al riparo dalla pioggia. Facciamo base al camping les Guerins.
Tutti i luoghi qui intorno sanno un po’ di vintage, di semplicità. Siamo contornati solo da climbers, l’ambiente è fighissimo. Alla fine il punto di incontro a fine giornata è sempre il bagno, o le docce. Si parla dei tiri chiusi, dei progetti, in quale settore si andrà etc.
La maggior parte di chi scala qui scala un paio di giorni di fila, e poi si prende una giornata di pausa, sia per la pelle delle dita che per l’avvicinamento. Noi, presi dall’entusiasmo dell’essere qui, dal non scalare da un po’, dal fatto che essere il falesia è plaisir rispetto all’andare in montagna, o alta montagna, decidiamo di arrivare fino al 7 giorno prima di dare una tregua alla pelle e collassare al lago! La verità è che un giorno di pausa il quarto giorno ce lo saremmo pure presi, ma abbiamo deciso di andare a fare il Mont Ventoux in bici. Il Mont Ventoux è una delle grandi salite del Tour de France. Noleggiamo le bici a Bedoin, da dove partiamo. Anche qui l’atmosfera è fighissima, un sacco di ciclisti, tanti negozi super sul pezzo che noleggiano bici da strada (noi ci siamo portati le nostre scarpe e le nostre pedaline), gruppetti o gente da sola che suda sulla pendenza costante del 10% e sui 21km che li separano dalla cima. Direi che io sono la prima a sudare qualche camicia: seconda uscita stagionale, senza considerare i rulli. Ma che soddisfazione! Il paesaggio una volta usciti dal bosco è lunare, non c’è più un solo cespuglio, solo pietre ed il “faro” del centro di raccolta dati del vento che ti guarda da lassù, invitandoti a raggiungerlo.
Nonostante il cielo un po’ coperto la vista dal punto più alto è unica e a 360°. Con noi c’è anche Louis, un ragazzo belga che fatto varie uscite con Marco, super local della zona, che ci consiglia di scendere dall’altra parte verso Maloucene per fare un giro ad anello, tornando poi per il colle della Madelaine. Chiudiamo così il nostro giro con 55km e quasi 1800m di dislivello, felici e soddisfatti del nostro (finto) rest day 😉
Torniamo a Ceüse la sera stessa, carichi per affrontare una via lunga il giorno successivo, Inesperance, sulla parete di Grand Face. Leggendo la guida abbiamo visto che il terzo tiro di 6c+ è descritto come il 6c+ più bello del mondo. E quindi? Si fa!
Marco unisce i primi due tiri, un 6a+ e un 6c. Io trovo lunghissimo sul 6c, spiomba un po’, ed i tiri fisici non sono proprio il mio pane quotidiano.
Arrivati in sosta prima del 6c+ la parete è una pannellata magnifica, e a prima vista completamente senza prese. Scalandolo poi ha il tipico sapore ceüsiano, buchetti, piedi che si vedono solo sporgendosi un po’. Continuo, costante, bello dal primo all’ultimo metro. L’ultimo tiro è un 7a, spittato decisamente allegro, che mette alla prova la concentrazione mentale. Una cannelure finale ci porta in cima all’altipiano. Per essere più leggeri abbiamo deciso di lasciare alla base tutto che ciò che non fosse strettamente necessario, tra cui anche le scarpe da approach. Così, scalzi, ci avviamo verso la ferrata a Un Pont sur l’Infinì.
Marco non ancora stanco si butta sul suo progettino, Dietetic Line, un 7b che fa parte della “trilogia”: tre 7b uno affianco all’altro nel settore Un Point sur l’infinì. Ahimè, rimarrà per il giorno successivo. Nel frattempo provo anch’io il mio progettino, Vas-y Tonton, un 7a sempre a un Pont, che Marco mi spinge a provare ma che, in queste condizioni, mi sento lontana anni luce dal poter chiudere.
Dopo 3 giorni di climbing, uno di bici e altri 3 di arrampicata decidiamo di prenderci un giorno per andare al lago, in attesa anche dell’arrivo di altri amici, dopo aver incontrato Ricu, Albi e Andre. Sono in arrivo Pongi, Martin, Gigi e Martello. Tutti amici storici di Marco, con i quali ha iniziato a scalare e condiviso i primi viaggi arrampicatori. Pasta al pesto in tenda, birre, momenti leggeri in cui si rievocano ricordi e si parla di nuovi progetti. Ognuno ha preso la propria strada, ma imbrago, corda, scarpette, e, in questo caso anche Ceüse, sono il minimo comune denominatore che li unisce.
Gli ultimi due giorni saliamo insieme, ognuno con i propri progetti. L’obbiettivo di Pongi è di fare più tiri possibili, quello di Martin di sopravvivere all’ansia di Pongi, Gigi e Manu scalano sereni, Marco si porta a casa il suo progettino ed io il mio!! Felicità infinita nel chiudere un 7a a Ceüse, con un “piede e mezzo”, due scarpette diverse, ed un inverno di stop totale. Marco incatena il suo ed il giorno dopo chiuderà anche la trilogia, chiudendo flash Opera Vertical. Il mood che caratterizza questo posto gioca un ruolo importante. Gente che scala ovunque, motivazione, tentativi, frustrazione, e di nuovo motivazione, che si trasforma poi in soddisfazione.
Dopo 11 giorni lasciamo Ceüse con tanta voglia di tornarci, non solo per la sua roccia ma per tutto quello che questo posto rappresenta, e per il vibe che possiede.
Scalare fino a non averne più, scendere al buio con la frontale, correre per arrivare in tempo al Crux, dove le pizze francesi sembrano le più buone mai mangiate, e dove due birre ti portano sulla luna che si vede sorgere piena.
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